LA PROVINCIA PEDAGOGICA

Un viandante arruolato nella Provincia Pedagogica… tra i rinuncianti

Una piccola parte

È l’alba e l’incedere del sole attraverso la vetrata dipinta, come una marea crescente inizia a raccontare una storia:

che ha inizio sotto un cielo spento, ai piedi di un cedro d’argento dai vasti rami.

Lì, un giovane dai lunghi capelli biondi e dall’aspetto delicato, giace immerso in un tappeto di anemoni rossi.

Un diafano panneggio, custode delle sue forme, pare avvolgere tra le sue pieghe un corpo immaginario.

Grazie all’uso sapiente del giallo d’argento,

il colore dorato dei  capelli scende lentamente verso il chiarore del viso,

dove l’azzurro intenso degli occhi testimonia della perizia del pittore nel simulare due gemme.

Lo spazio, pian piano, si accende di pittura radiosa,

i rami dell’albero sembrano fremere sotto l’incalzare della luce cangiante e il brillare mutevole e imprevedibile del vetro rosso doublé,

dà vita a

vibrazioni cromatiche, scintillii:

e sembra che i fiori bisbiglino tra di loro.

È forse un sorriso più dolce e prolungato del sole a spingere il giovane a sollevarsi e a emergere ora contro la parete buia,

avanzando sospeso nel vuoto, lo sfondo azzurrino dello zaffiro greco a fargli da cielo.

Lo splendore dei blu e dei rossi ha lasciato intanto il posto al verde cupo di un bosco,

dove il giovane si inoltra come chi varchi il portale di una chiesa.

Le nubi, diradando, lasciano che il sole lo aiuti nel suo cammino disegnando un sentiero,

i fiori d’acanto sembrano inchinarsi alla luce e lui la segue come fosse una via.

Vi è un silenzio sovrano che spesso accompagna la poesia.

Andiamo con lui, insieme a quel giovane uomo e alla sua eterna ricerca;

per il quale ogni passo è un lacerarsi di veli,

il frammento di un ricordo, un’intimità ardente e terribile,

che lo porta ora, in quella piccola losanga di vetro, a socchiudere gli occhi e portarsi una mano sul viso.

L’azzurro del cielo lo attende all’uscita del bosco.

Lui, seduto su una pietra umida di rugiada, si guarda intorno ed esita,

ignaro di come le immagini si lascino docilmente penetrare dalla luce e, vinte dal suo fascino, si arrendano pian piano

all’incedere maestoso del giorno.

Ed è sotto una volta blu cobalto che lo ritroviamo,

nella sua immobile giovinezza, immerso nell’acqua fino alla vita come a raffreddarsi l’anima,

lo sguardo pensoso e altero a guardarsi dentro, come se la memoria potesse dissetare l’arsura.

Scende la sera e appare una stella.

In mezzo a uno spazioso cortile circondato da chiostri, si erge un alto e massiccio cono nero.

Una scala a spirale lo avvolge, per poi sparire aldilà del suo vertice.

È incontro a quel versante invisibile che il giovane si dirige, come in preda a un incantesimo.

Che sembra diffondersi tutt’intorno: vetri incolori, tenuemente dipinti a grisaille, prendono il posto del ‟ verre de fougère ”;

un’arte povera e priva di sfarzo succede ai cromatismi violenti e il corpo del giovane appare ora traslucido,

tanto da sembrare dipinto con la luce stessa.

Di spalle, mentre sale i gradini, indoviniamo lo sguardo attonito oscillare tra terra e cielo e la sua anima anelare alla stasi.

Ad ogni passo la superficie vitrea diviene sempre più chiara, la figura di lui trasparente e il sole sembra rallentare la sua ascesa,

donando un tempo misericordioso a quell’immagine che si muove ora così lentamente, da sembrare fissa alla percezione dell’occhio.

In spalla un’antica domanda, sale leggero in grembo alla luce.

Una luce che più non sintetizza bensì dissolve e, nel dissolvere, emigra scalando, gradino dopo gradino,

fin quando, compiuto l’ultimo passo, non si rapprende nell’armonia di una visione.

Antonio si svegliò, ma della storia non era rimasto che un mosaico inerte di vetri e piombi.

Adieu

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Adieu: e c’è tutto un mondo di vibrazioni verticali.
Andarci a passeggio ha un senso
e riportarne qualcosa la sola malattia.

Non tener conto del corpo e lascia il mondo così com’è.
Tingiti di giallo e di nero e attraversa,
quasi polvere, le onde.

Adieu: e il nero assorbe tutti i raggi dello spettro senza più riflettere,
senza più risposte.
Parossismo della discordanza
e dei suoi esiti mortali.

E’ come rimettere diritto qualcosa di storto.
Ogni volta c’è qualcosa che devia:
quella linea mi tormenta!

Era, per lei, quasi una questione meccanica.

Getta al vento tutto ciò che riveste l’altrove.
Rovista nel colore dei suoi occhi,
nello spessore delle sue dita,
nella lontananza del suo cuore e, infine,
nel ruminare della tua noia.

Adieu: perché non c’è viaggio,
non c’è domani,
nessun vulcano con la bocca in giù.
C’è soltanto l’eternità sotto i nostri passi
e l’implacabile gravitazione della nostra stessa oscurità.

Adieu: e le cose vanno intorno danzando,
con fisico sottile e sulle vette di una qualsiasi notte:
come nelle vene di uno specchio spento.

Quando il cuore o quel che ne rimane

vuoto

Vita dopo vita, sempre la stessa scena immensa.

L’aveva vista alzarsi di buon mattino
poco prima del sole e,
spalle alle ombre, si era disteso a terra.

Le regioni chiamate Solitudine,
il Mare del calore:
socchiuse gli occhi.

L’aspetto di un altrove ricoperto da una tunica bianca,
se ne stava lì,
quando un ragazzo,
di ritorno dal mercato del sesamo, lo vide:
” Chi sei? ” chiese

Vita dopo vita, sempre la stessa scena.
Sempre lo stesso anello che batte alla sua porta.

” Sono un viandante e per il resto ti basti l’immaginazione della verità,
quella che hanno i bambini e certi esseri rari non ancora toccati dal vento. “

Il ragazzo osservò il lembo del dhati raccolto sulla spalla e i piedi scalzi.
Si sentì solo come in una grande foresta ed ebbe freddo.

Vita dopo vita, sempre lo stesso sogno fatidico:

Un vento caldissimo spirava sulla pianura.
Giunti che furono sotto la grande torre, accompagnati dal suo fruscio,
cominciarono a salire le rampe.
In cima trovarono una donna ad aspettarli.
Slanciata, nella sua lunga veste turchina,
portava un fiore scarlatto all’orecchio.
Stava in silenzio, soltanto il labbro inferiore tremava.
Mimando un passo di danza,
con un cenno li spinse a guardare in alto
e di colpo il cielo si dissolse.
All’improvviso, di lassù, le stelle sprofondarono
nella terra, che si ornò delle immagini delle costellazioni.
Il manto stellato era divenuto il manto terrestre.

Il ragazzo, ipnotizzato dalla sua fiamma, lo guardò e alle parole dell’uomo:
” né il sì né il no hanno trovato il segreto “,
volse lo sguardo verso la donna e la vide andare.

Vita dopo vita,
la veste nera come un viaggio senza stelle.

TWOTIER THINKING

Schermata 04-2456397 alle 17.05.50

Mi sono visto andare,
come l’acqua che scende,
come un’antica domanda,
in uno dei tanti luoghi in cui si incontra la rosa,
eterno paradosso,
senso delle cose e del nostro scrutare.

Cattura e guida la rosa scandalosa.
Parlava una lingua sconosciuta
e tu avevi l’anima candida come la neve.

Fragile, nella sua spoglia sensibile;
mistero in sé molteplice,
ha radici nella terra della bellezza
ed effimero è il suo fiorire eterno.

Pensiero ineffabile,
gioco ambiguo di un’inestricabile triade.

” Che ne è della catena di ragioni, cause e condizioni
da cui il fiorire della rosa?
E cosa di quel senso che un emblema ci dona? “

L’invisibile volto premuto sul guanciale,
come la testa di un devoto accoccolato e salmodiante,
vidi pupille traslucere
tra palpebre abbrunate,
a testimonianza del tuo sonno desto
e le tue ciglia, come fronde,
che
in un’aura dolce, senza mutamento,
si piegano pronte al vento.

” Fiorisce poiché fiorisce. — rispondesti — E non c’è un perché “

Un piccolo sorriso indulgente,
come la trama di un sogno intessuto di luce,
quelle parole portavano in grembo
il dono di un fondamento e,
all’improvviso compresi, anzi fu in me,
che a te, come alla rosa:
” di sé non gliene cale,
non chiede di esser vista. “

Notte

Dove la visione conduce l’artista
o dove il sonno fa trasmigrare le anime:
a ciascuno il proprio abisso superiore.

” Io conosco il mio e la sofferenza del ritorno —
disse come sollevato da ali di chimera —
Conosco i veli che si lacerano
e il mostrarsi nudo;
la confidenza ardente e terribile,
della quale lo spirito non riporta quaggiù che brandelli.
So di ciò che è celato nei colori e nei suoni
e la sapienza innocente dei bambini.
Vidi colui che arrivò dall’oriente,
vestito di porpora,
incontro a lei e al suo abito color del giacinto.
Corsero l’uno verso l’altra come due soffi di vento
e si confusero insieme. “

I ricordi, come astri erranti, popolarono il suo sguardo.

” Nella vita, a volte,
si giunge meditando grandi disegni,
sacrificandone poi la grandezza alla parvenza.
Ma anelli congiungono universi,
canti celesti fondono le emozioni dei colori e dei profumi.
Alla memoria fanno dono di dettagli,
come un canto terreno
chiama i più minuti ricordi di un amore “:

Luna della notte,
che guardi accorrere gli angeli in uno stesso volo,
tutti uguali eppur diversi,
semplici come la rosa dei campi.
Guardali muoversi piano al pianto degli esiliati,
o a leggiadre lacrime raccolte e conservate
come perle orientali.
Guardali accorrere là,
dove si sta celebrando la festa
e dove i capelli emanano onde di luce ad ogni movenza;
salire in cerchio insieme agli amanti,
ricevendo sempre un nuovo dono e legami invisibili.
E guardali ora,
approdati ad un punto per il quale non esiste un nome.

Non una sola voce del coro taceva.

” Tu sarai tutto il mio amore, tutta la mia forza. ”
” Con te soltanto. ” rispose l’uomo

E andarono insieme,
così come si raccolgono le nubi.